Io di lettere d’amore ne ho ricevute molte, e scritte poche. O almeno cosi’ mi sembra. Forse perche’ quelle che ho scritto io le conservano altri, forse perche’ tra quelle a me dedicate ce ne sono alcune che non ho neppure mai letto, ancora chiuse e sigillate, intatte in qualche scatola nella polverosa soffitta di casa dei miei. Che crudelta’, potra’ pensare qualcuno. Eppure, ragazzi, quando e’ troppo, e’ troppo. L’amore che genero, quello che ho vissuto, e’ sempre un po’ malato, caratterizzato dall’ossessione, da una o entrambe le parti.
In genere diffido. Forse sono uno di quegli esseri che non presuppone l’amore, ne’ se lo aspetta. Il rispetto si, quello lo esigo. L’amore invece mi sorprende sempre, mi trova impreparata, stupita, dubbiosa. Perche’ mai qualcuno dovrebbe amarmi? E’ uno stato dell’anima. Non siamo conigli, e non siamo tutti uguali. Dunque, quando qualcuno si dichiara a me, mi chiedo:
1_Perche?
2_Che cosa vorra’ da me?
3_Cosa sta dicendo in realta’?
Vivendo all’estero tutto diviene ancora piu’ confuso, poiche’ in italiano conosciamo bene la differenza, necessaria e fondamentale, tra ‘amare’ e ‘volere bene’. Gli inglesi, che ai dettagli badano poco, usano sempre una sola, maledettissima, parola: love love love.
La notte di natale, ad Amsterdam, diversi uomini mi hanno urlato, ubriachi, "I love you"
"I LOVE YOU – I LOVE YOU"
Io, che avevo un occhio nero, le ginocchia sfasciate e un mal di testa da Gong! nel cervello, ero attratta soprattutto dal gulash, lo spezzatino, al quale mi avvicinavo di soppiatto ogni mezz’ora.
Nel delirio collettivo, ho provato a ballare sul tavolo con un ragazzetto etereo, amabile e sfuggente. Mi abbraccia e mi dice "e’ il nostro momento, we dance on the table". Io mi lancio, chiedendo scusa alle mie ginocchia, sapendo che neppure stavolta gli avrei scoccato un singolo bacio. Balliamo. Cerco gli occhi. Niente. Allora mi avvicino, protesa verso un contatto fisico. Fratello, non sono in trance, se balliamo assieme, o mi guardi, o mi tocchi. Niente sesso, siamo inglesi. Allora mi abbraccia, e mi dice "non aggiungere complicazioni nella mia vita: tu per me sei come il ragazzo con cui abiti, quando esco con lui, balliamo cazzo contro cazzo (e mi mostra lo stile, mentre io mi trovo a simulare un paio di passetti da sparviero), ma poi niente, non si fa niente. Non facciamo sesso nel bagno. Sono perplessa, scendo dal tavolo, poi risalgo, gli dico "guarda che non ti avevo chiesto nulla". Comunque riconosco un fatto: il ‘dick’ io non ce l’ho. Amico, forse hai bevuto troppo. Fade out.
Alle dichiarazioni di quella notte, non ho creduto. Eppure, tornata a casa, quando, con immensa gioia, ho visto che qualcuno aveva riparato il ‘geiser’ dell’acqua calda, mi son detta: "forse e’ vero, hanno ragione loro, c’e’ ancora amore a questo mondo".
Perche’ parlo d’amore? Non se ne e’ gia’ parlato abbastanza, in secoli di poesia e cavalleria?
Secondo me oggi non se ne parla abbastanza. O forse si parla d’amore, ma non mi ritrovo nel dibattito contemporaneo sul sesso. Tutta questa liberazione, per quanto necessaria, mi sembra stia portando verso il nulla, la vedo superficiale, vuota. Mi riferisco a tutto il business queer, all’underground trasgressivo, alle girlswholikeporno etc etc etc
Insomma, va bene, masturbiamoci, scopiamo, facciamo orgie. Ma non e’ cosi’ importante. Non venitemi a dire che queste sono le tematiche attuali che la forma della cultura, e la contro-cultura, producono. Ragazze, c’e’ molto altro da dire. Ma ok, ognuno fa quel che puo’. Mi piace l’estetica sadomaso, e forse anche l’etica non e’ sbagliata, nel senso che in genere tutto cio’ che accade, per quanto sia un gioco ibrido tra piacere e dolore, e’ consenziente.
Tuttavia ritengo il sesso, si proprio il sesso, un’esperienza fortemente spirituale. E questa realta’, questa pratica che e’ un linguaggio, una comunicazione per spingersi oltre e comprendere altro, appare sempre piu’ ginnica, agonistica, priva di significati altri.
Forse parlo cosi’ perche’ ultimamente mi eccita soltanto il mio computer.
Forse parlo cosi’ perche’ in questo periodo non sento molte pulsioni.
Forse ho scopato abbastanza, e mi sono liberata. Oppure sono repressa, e non ce la posso fare.
Nel dubbio, sempre il giorno di natale, sono andata, con molta ironia, a fare shopping nel quartiere a luci rosse. Diciamo che in effetti ci abito dentro, diciamo che sono single, e che, abitando in una casa composta interamente da transgenders, sono stata sollecitata, tra un singhiozzo ed un compianto per il mio cuore per la prima volta infranto, a coltivare e sperimentare nuove incredibili volutta’.
Dunque, approfittando delle mie sembianze alquanto smostrate, con l’occhio nero, una gota insanguinata e la parte destra del labbro malamente rigonfio, mi sono addentrata con un asimmetrico sorriso tra i denti nei vicoli del REDLIGHT. Mi guardo un po’ attorno, i sexi-shop, le vetrine, la clientela, i commessi. Mi conquista il concetto di BUTTPLUG, che tradotto in italiano sarebbe una spina nel culo. I plug my butt, i plug my computer, i plug. Fantastico, ma non e’ quello che voglio. Comunque identifico il mio negozio, l’ultimo sexy-shop della zona, proprio di fronte a casa mia. Entro. Ci sono solo uomini. Meta’ del negozio e’ composto da video cassette, nell’altra meta’ ci sono ‘attrezzi’ di vario genere. (Gli uomini sono tutti nella meta’ delle video-cassette…) Mi incuriosiscono le palline vaginali, non ho mai capito bene come funzionino, ma fanno parte, credo, dell’antica tradizione asiatica, e loro, a quanto si dice, ne sanno. Osservo i vibratori, con attenzione, uno per uno. Prezzo, dimensioni, colore, batterie in dotazione etc. Mi sembrano tutti piuttosto piccoli, a parte alcuni costosissimi che sono davvero giganti e sproporzionati. Ci penso un po’, e sono cosi’ assorta che non mi accorgo, sino a quel punto, di aver catalizzato l’attenzione dei presenti. Sorrido. Ridotta come sono, mi han presa per un’esperta. Infatti mi guardano con rispetto. Torno ai vibratori. Decido, strategicamente, di comprarne uno. Il ragionamento e’ il seguente: innanzi tutto non ho mai provato, a parte una volta da ragazzina, quando ne ho trovato uno in casa (?!), e ci ho giocato un po’ con il mio fidanzatino. Ma era un modello arcaico, nulla a che vedere con le forme anatomiche e scintillanti che ho davanti agli occhi. Stai a vedere che sto giro riesco a debellare la mia inappetenza sessuale, mi dico fiduciosa. E poi, se questi aggeggi mi paion piccini, posso sempre chiedere ad un amante di usarlo in combinazione con il suo, e 1 + 1 fa 2, che e’ un numero piu’ grande di uno. Convinta dalla matematica, prendo in mano i due vibratori piu’ belli e, dopo un minuto di concentrazione, scelgo il mio: il piu’ economico di tutti, di plastica rosa-fucsia-trasparente, ad una sola velocita’ (quella ottimale, reclamizza la scatola). Mi avvicino alla cassa con pallette e vibratore, sentondomi anche io, nell’onda del consumo, toccata dallo spirito del natale: improvvisamente piu’ buona, quasi ottimista. Il cassiere, affascinato, mi chiede in dutch: "Posso farti una domanda?" … "Bhe si", rispondo in dutch. "Di dove sei?" … "Ah, sono italiana" … La conversazione da qui continua in inglese: "Ehhh, dev’esser molto diverso laggiu’, che ne pensi?" dice, alludendo forse al mio occhio nero. Io sul momento capisco male, e credo si riferisca alla misura dei vibratori… come ha fatto a leggermi nel pensiero? Poi mi sveglio, e rispondo ammiccante, "eh si, e’ diverso, molto diverso…" Sto per pagare, mi ricordo che mi sento piu’ buona, afferro una frusta in esposizione sul bancone, mi colpisco la mano davanti a lui. "Prendo anche questa, pago con la carta".
Abbandono il negozio, smetto di essere quel personaggio che ha raggiunto molteplici orgasmi, mentre qualcuno la piacchiava (in verita’ credo di esser caduta, ma non ricordo nulla). Torno a casa, e in cucina racconto ai presenti la mia avventura, mostrando loro solo la frusta, che suscita l’invidia e l’ammirazione di tutti. Ma tu guarda…
Insomma, tornando al romanticismo, alla spiritualiata’, ed alle lettere d’amore, ne ho ricevuta una, di recente, tanto bella, tanto dolce, in spagnolo. Inizia cosi’:
parece que el tiempo i el espacio nos han jugado una broma pesada …
Questa frase mi piace immensamente, mi fa pensare alle leggi della fisica, mi fa pensare ad un video in bianco e nero che ho fatto qualche anno fa in linguaggio Pascal.
Mi immagino lo Spazio ed il Tempo, due signori barbuti, seduti su una nuvola a giocare a scacchi. E, se guardi bene, la scacchiera e’ composta da tante piccole scacchiere, che contengono a loro volta tante piccole scacchiere, e in una di quelle, seduto su un riquadro, ci sei anche tu!
si parla di lettere d’amore e non di una botta e via. ci si ferma a leggere e a vedere come e in che modo lo si affronta – perché di questi tempi si sa che bisogna starne lontani, però, ogni consiglio è bono! -. Poi si continua a scorrere il testo perché parla di sesso e tutti pronti a dare il proprio giudizio a dire: ma. chissà. però. io. forse- anzi, niente forse, proprio sicuro. perché altro che vibratori e frustino, tu non sai che c’ho io a casa, nun te lo faccio vede’ se no te sturbi (questo forse a roma).
ma il problema, il problema è un altro.
Il problema che mi pongo e che tu mi hai giustamente ricordato è:
le palline… le palline come si usano????????????
voglio una dimostrazione da chi ne sa di più.
No Zero, il vibratore si visiona solo dal vivo. E poi l’ho lasciato ad Amsterdam, per paura del controllo anti-terrorismo. Scusi, ha per caso un laptop in quella borsa? Ehm, non solo.
Non potrei mai utilizzare un vibratore dopo che uno sbirro lo ha anche solo sfiorato, GIAMMAI!
ma una foto delle funzionalità pratiche del vibratore è possibile avrela?
si hai ragione, ma plug e’ anche la spina elettrica. Spina in quel senso, non spina di rosa. Mi piace l’assonanza col mondo delle macchine.
secondo me buttplug fa più tappo per il culo che spina