Altro che gola profonda. A volte la vita ti si para davanti come un gigantesco imbuto, pieno di merda.
E non c’e’ verso. Tanto per cominciare la mia bocca e’ troppo piccola rispetto all’imbuto. E poi, ad ogni modo, il volume del mio corpo e’ decisamente minore a quello di tale mole di escrementi.
Da tre giorni non esco di casa, da una casa in prestito, tra l’altro. Aspetto.
Sole, pioggia, pioggia, sole, pioggia pioggia.
Per me e’ uguale.
Mi chiedo quale sia la posizione di colui che regge l’imbuto…
Sara’ completamente sporco di merda anche lui?
O almeno, qualche spruzzo gli ha macchiato il viso?
E le sue mani, non sono forse chiazzate da un’onta indelebile?
Penso al Macbeth, alla mia ira, a colui che porge l’ennesima offesa:
"…Come, you spirits
That tend on mortal thoughts, unsex me here,
And fill me from the crown to the toe top-full
Of direst cruelty! make thick my blood
…
Nature seems dead, and wicked dreams abuse
The curtain’d sleep;
Will all great Neptune’s ocean wash this blood
Clean from my hand?
…
My hands are of your colour; but I shame
To wear a heart so white.
…
blood will have blood:
Stones have been known to move and trees to speak;
Augurs and understood relations have
By magot-pies and choughs and rooks brought forth
The secret’st man of blood. What is the night?
Here’s the smell of the blood still: all the
perfumes of Arabia will not sweeten this little
hand. Oh, oh, oh!
…
What, will these hands ne’er be clean?–No more"
Read blood as shit, e capisci bene di che vado cianciando.
Insomma, magra consolazione, quella di colui che s’acquieta augurando al proprio carnefice una slogatura al polso. Eppure la rabbia e’ un sentimento che non porta da nessuna parte. Non e’ dolce, creativa, come la tristezza. La rabbia e’ distruttiva, e la prima vittima e’ chi ne e’ investito, non colui che la provoca.
C’e’ chi dice la vendetta sia un piatto da gustare a freddo. Io non sono vendicativa, o almeno cerco di non esserlo, perche’ in genere le arrabbiature mi passano in fretta, e dunque non vale la pena di perdere tempo in dispute.
A freddo, poi, non ci penso neanche a banchettare con quel piatto prelibato che purtroppo non mi va piu’.
Esclusa la vendetta, cosa rimane, se non l’indifferenza, o l’atarassia?
Ci provo.
Eppure sento il mio sangue pulsare, gli occhi mi si gonfiano, le mie mani tremano.
Le orecchie ronzano, la vista si annebbia, sto forse per svenire?
All’improvviso odo i canti delle mie antenate, voci di donne urlano lamenti giambi e litanie.
Mi giro, non vedo nessuno.
E’ una comunicazione dall’interno, capisco.
Mi inginocchio e guardo il cielo, tocco la terra. Mi figuro e posiziono in quello spazio di mezzo, lo spazio del salto e del volo, quello stato in cui avvengono i miracoli, e dove, nella capoeira, lo spirito entra nel gioco e i corpi non sono niente altro che pianeti, e il meccanismo tridimensionale gira, gira da solo, come un orologio umano.
Sono voci in greco antico, latino, italiano, quelle che ormai rimbombano e mi fanno bruciare il pensiero.
"Non posso sopportare questo peso, non tollero tale offesa…"
"Bambina…", sussurra una voce calda, familiare, dentro di me. "Fermati, non pensare piu’. L’immaginazione ti ferisce l’anima. Il dolore ti consuma."
"Non e’ immaginazione, e’ la verita’, e mi si mostra agli occhi in tutta la sua bassezza, e mi taglia come una lama"
"Verra’ un giorno…"
"Non ci credo!"
"Verra’ un tempo…"
"Nooooo"
"Diminuisci cio’ che e’ troppo, accresci cio’ che e’ poco"
"Ehy! Stai parlando di soldi e spese?"
ZOT!!
Oh… Ahi. L’ho fatto di nuovo.
Ogni volta che qualcuno scende dal cielo per aiutarmi, lo sterilizzo con la mia ironia abrasiva. E via, e’ gia’ tardi.
Diciamo che ho un rospo in gola.
Diciamo che non riesco ad ingoiarlo.
Cosa si fa in questi casi?
Un arto in putrefazione andrebbe tagliato…
La vita in genere aggiusta tutto da sola, non appena le si lascia fare.
Ma una domanda, molto semplice, continua a girarmi nel cervello:
"Perche’ tanto odio?"